Ripercorrere la storia dell’agricoltura nel Polesine significa ricostruire la vicenda legata alle “terre vecchie”, quelle terre sulle quali la bonifica sostituisce, repentinamente, all’economia della valle, l’economia della pesca e del pascolo, una nuova economia agraria.
In un sistema di conduzione in aziende molto grandi si produceva frumento, e, nelle alberate, anche uva, ma per secoli la coltura chiave è stata, nelle terre “vecchie”, la canapa.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’Italia vanta il titolo di secondo produttore mondiale di fibra di canapa. Sebbene la produzione fosse concentrata in Emilia, anche in Polesine il territorio fu riempito di maceri: I maceri sono appunto bacini artificiali di acqua stagnante, un tempo utilizzati per la lavorazione della canapa. Questa coltivazione, fu introdotta in Italia tra il X e l’VIII secolo a.C.

Il tessuto di canapa veniva utilizzato soprattutto per abiti di contadini e monaci e per la produzione di sacchi, corde e vele quella della canapa non è semplicemente una coltivazione, è l’espressione di una civiltà, una civiltà agraria fondata su una disponibilità pressoché illimitata di lavoro umano.

La raccolta si faceva a fine estate.

Con una falcetta si tagliavano le piante raso terra, si legavano in piccoli fasci e con il carro si portavano a casa nell’aia.

Successivamente la canapa si metteva a macerare nell’acqua. Questa operazione era fondamentale per ottenere una buona stoppa, che era la materia prima principale estraibile da questa pianta. La canapa restava nell’acqua per 15-20 giorni, poi veniva messa ad asciugare.

Per l’estrazione della stoppa dagli steli della canapa si usavano speciali attrezzi che si chiamavano mascelle (in dialetto gramola), costituite da un banco di legno con dieci lamine sempre in legno unite insieme con un perno ad una estremità. Alternativamente la metà delle lamine erano fissate al banco, mentre le altre, unite da un manico, si alzavano ed abbassavano manualmente in modo che incastrandosi con quelle fisse rompevano gli steli della canapa.

La canapa, una manciata alla volta, si passava sotto l’attrezzo; con una mano si alzavano ed abbassavano le mascelle e con l’altra la si faceva scorrere.
Successivamente si passava la fibra su dei grossi pettini in modo da liberarla completamente da residui legnosi ed allo stesso tempo affinarla.
Ora era pronta per la filatura.

Dalla canapa si estraevano sostanze “oleose” (per illuminazione ed energia), “fibrose” (fibre tessili, vestiti, carta, corde) e si ottenevano “alimenti” (farinacei e mangime per gli animali).

Nella seconda metà del XX secolo, con il declino e l’abbandono definitivo di questo materiale, sostituito dal cotone e dalle fibre sintetiche, molti di questi stagni vennero chiusi per recuperare terreni agricoli ed edificabili.