La località è una frazione del comune di Badia Polesine sorta sulle rive dell’”Adige Veclo” oggi Adigetto.

La chiesa di Salvaterra dedicata a sant’Antonino fu costruita nel 1123 dai Cattaneo di Lendinara (sempre quella famiglia il cui vescovo conte Paolo fece costruire il castello di Rovigo) sulle rovine di un castello(?) o forse di un grosso edificio.

Nei territori di Badia si intrecciano storie di nobili provenienti da Milano ed imparentati con famiglie mantovane (Salvaterra?) che ebbero una parte importante durante le guerre con Venezia.

Tornando alla chiesa, la facciata è stata rifatta nel 1700 quasi un secolo dopo la costruzione della sontuosa villa Pellegrini che ancor oggi conserva tutta la sua grandezza compresa la corte in ottima manutenzione essendo utilizzata per i lavori agricoli.

Al suo interno vi sono interessanti opere d’arte tra le quali alcuni affreschi di Andrea Urbani (1711-1798) un artista molto quotato nel XVIII  secolo tanto da essere incaricato di opere per il duomo di Udine e niente popòdimeno per il Palazzo d’inverno di Pietroburgo.

Alcuni riportano che il castello “Salvò le terre” da distruzioni o saccheggi di popoli invasori; a me piace pensare però che il nome derivi dal fatto che il paese sia stato preservato dalle inondazioni dell’Adige.

Anche perché gli Estensi avevano costruito un “traversagno” che per anni veniva chiamato “la via d’Arquà” con lo scopo di separare le terre alte di Ramodipalo, Crocetta e appunto di Salvaterra da quelle più basse di Valdentro e San Biagio verso Lendinara.

All’interno dei bacini delimitati dai traversagni una serie di arginelli minori separavano le campagne prosciugate anche se la maggior cura doveva essere osservata per i grandi fiumi.

Per la manutenzione degli argini vi erano disposizioni severissime: non si poteva prelevare terra o abbassarli ne’ farvi pascolare bestiame durante le piene.

Anche i mulini dovevano star distante dalle rive.

Se vi era pericolo di rotte la campana del Comune di Badia suonava e tutti gli uomini andavano dal Podestà con gli attrezzi, badili carriole e picconi.

I responsabili delle varie zone venivano chiamati “Cavarzerani”.

Alle loro dipendenze vi erano i “Piovegani” per le derivazioni d’acqua ed i “Saltari” per la sorveglianza di boschi e campagne.

Gli ufficiali alle biade dovevano poi censire colture e popolazione.

Con i “Massari” delle ville i cavarzerani stabilivano gli elenchi delle persone che avevano il compito di manutenzionare gli argini stessi.

Curioso era il fatto che chi manometteva le strutture idrauliche veniva punito con la morte sul luogo del misfatto e con la confisca dei beni.

Una serie di norme stabiliva i lavori da fare ma soprattutto da “non” fare per la regimazione delle acque.

Ma veniamo a Salvaterra.

“Te la vedito ti, se un quò i ciapasse tuti quei che i costruisse i ponari e i tirazò vizin al’Adeseto e i vegnesse copà e i so schei dà al comune?”

“Robe del’altro mondo, de quando, soto paron straniero, a gerimo tuti un fià più seri.”

“‘Ndemo ca te porto ale “Marachelle” di Badia Polesine…”

“Par ‘na pizza?”

“Sa te voi, ma i fa anche altri bei piatti!”

Alla prossima.